L’India è intensa.

L’India  è intensa. Surreale. Contraddittoria.

Cruda, spietata, esigente a tratti lucente, a tratti oscura.

Una linea sottile che divide il bene dal male, la realtà del sogno, il voler fuggire il più lontano possibile dall’attrazione nel voler rimanere.

Mette letteralmente a nudo  persone e sentimenti, i desideri e le paure più inconsce, primordiali.

Un costante velo di nebbia e magia ricopre i ghat e le menti,  offusca, confonde.

Vagando tra le luci delle candele e le stelle, i fumi dei crematori, i canti dei pellegrini, le risate chiassose dei ragazzini che fanno tuffi sul Gange, le musiche dei mantra su basi tecno per il Dev Deepawali, la puzza acre di piscio ed il profumo inebriante degli incensi sembra di essere nel mezzo di uno strano sogno.

Si entra in un portale, dove si raggiunge un mondo folle, sconosciuto ai confini della realtà, dall’alba al tramonto preghiere, rituali, cerimonie, folle immerse  nelle acque sacre, fiori, panni ad asciugare, preparativi di ogni tipo.

C’è chi dorme, chi si inginocchia, chi prega. donne che si pettinano i lunghi capelli bagnati, bambini che piangono e giocano sulle rive tra la terra e la cenere,  uomini dagli sguardi fieri, pensierosi, nostalgici, mendicanti, bramini, devoti, disperati.

Nei vicoli labirintici cani randagi, vacche che occupano il passaggio in mezzo alle vie già  strette, scimmie che saltano tra i cavi elettrici, sputi, immondizia, altarini dismessi, ad ogni angolo  templi nascosti disarmanti e belli da far mancare il fiato proprio come gli odori forti, che sanno di escrementi, morte, speranza, palo santo, dura realtà.  E poi ci siamo noi, anime smarrite tra i suoni di flauti e tamburi, cortei funebri e matrimoni che piangiamo e ridiamo insieme, che vogliamo fuggire e rimanere, urlare e meditare. Varanasi è tutto questo e molto di più.  Come in un sogno  confuso è difficile trovarne un senso, è difficile uscirne, dimenticarsene o ricordarlo bene.

L’India è intensa. Surreale. Contraddittoria.

Un universo parallelo dove il tempo e lo spazio sembrano sparire

sembrano perdersi tra le rive del Gange insieme ai pensieri, agli attaccamenti materiali e alla ragione.

Sicuramente anche un pezzo del mio cuore si sarà perso in queste acque sporche ma sacre, o tra le strade luride ma profumate, tra le asharam e gli altari, forse è stato preso da un gabbiano e lanciato sull’altra sponda, o riportato a riva da un’onda insieme ai resti dell’ultima Puja, o magari il pezzo del mio cuore è stato trascinato a largo da una barca insieme al corpo di un’anima pura che non è stata bruciata. Ovunque esso sia sicuramente rimarrà qui a vagare insieme a tutto il resto tra le assurdità, le bellezze, i colori, i palazzi fatiscenti, le persone gentili, le speranze,  le ombre di Varanasi.

Ma se non ci fossero le tenebre non ci sarebbe neanche la luce.

Un ringraziamento speciale va a Varanasi per avermi fatto vivere senza filtri tutte le mie emozioni anche quelle nascoste più a fondo, quelle che fanno più paura, Grazie per avermele fatte attraversare, affrontare dandomi l’opportunità di guardarle dritte in faccia, di guardarmi negli occhi, allo specchio e riscoprire me stessa e tutti i lati della mia anima, limpidi e torbidi, riflessi nelle acque stesse di Mama Ganga.

Ho riso, ho pianto. Mi sono arrabbiata, commossa, disperata, illuminata. Ho avuto paura, sono stata coraggiosa. Ho provato pena, odio, compassione, disprezzo, amore.

Mi sono persa e ritrovata, odiata e perdonata.

Catapultata nello smog di Delhi, intrappolata nel traffico, tra vicoli troppo stretti ed affollati mi sono poi ritrovata sospesa, come in un limbo, tra gli incensi ed i rituali nei ghat sulle sponde del Gange di Varanasi.

Ho respirato la polvere e la povertà delle strade sterrate di Mathura, camminando incerta tra  vacche e pellegrini striscianti.

Ho ballato e cantato nei templi di Vrindavan, sono stata trasportata dalla musica, dalle preghiere  e da sudici treni notturni.

Sono stata accolta da sorrisi gentili e devastata da scomode realtà. Disarmata e Grata saluto, disprezzo ed onoro questo luogo tanto dimenticato quanto vicino ad ogni posdibile Dio. Saluto, accolgo, rinnego, ed abbraccio l’India e tutte le indescrivibili emozioni nascoste in essa, racchiuse in me.

Vi sono cento porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne. – Ferdinand de Lanoye –

Mama Ganga

Attenta non toccarla. Mi raccomando stanne lontana. Segui il mio consiglio rimani alla larga.
Questo e molto di più mi dicevano sull’acqua del Gange.
Sono arrivata a Varanasi carica di paure e di pregiudizi, diffidente ma con lo sguardo curioso spesso rivolto verso questo fiume torbido.
Un’attrazione quasi magica nel volerlo spiare, tener d’occhio, controllare.
Tutta la vita degli abitanti di Varanasi gira intorno ad esso cerimonie, bagni, tuffi, c’è chi ci si immergie completamente, qualcuno ci lava i panni, altri addirittura i denti, molti persino la bevono quest’acqua scura, rinomata per essere tra le più inquinate al mondo. Nel Gange si cresce, nel Gange si muore.
Eppure malgrado la sua reputazione pessima, non sembra così minacciosa, non sembra meno sporca di alcune coscienze.
Il suo richiamo è forte, come il canto di una sirena, sarà altrettanto pericoloso? o magari si rimane incolumi grazie ad un vero e proprio miracolo o semplicemente per pura fortuna, per puro caso.
Sicuramente non se ne rimane indifferenti e prima o poi, malgrado tutte le paure, i consigli, i pregiudizi iniziali, prima o poi si
cede, ci si arrende.


Il suo fascino, il suo mistero vanno oltre la razionalità, oltre ogni qualsiasi congettura e ci si lascia andare, il cuore riesce a tradurre la sua lingua antica e sconosciuta alla mente, l’anima la riconosce, la ricorda e si affida, si inchina e si sporge per poter toccare quest’acqua vera, che non mente, per poterla sfiorare anche per un solo attimo così com’è, con tutti i suoi difetti, un solo attimo che diventa eterno e che non potrà mai più essere dimenticato.

Bastava solo ascoltarla….

Varanasi, una festa di Addio.

Circa duecentocinquanta chilogrammi di legna e tre ore di tempo occorrono per bruciare un corpo. Già…ma servono anche tanta fede, fegato e possibilmente l’acqua sacra del Gange.  Si perché esser cremati qui, a Varanasi, è un onore, esser un tutt’uno e tornare tra le braccia primordiali di Mama Ganga è la salvezza dell’Anima che torna alle proprie origini, torna a far parte dell’Universo, dell’Infinito e sono circa trecento le persone che ogni giorno incessantemente dall’alba al tramonto hanno questo privilegio.

Mi avvicino a passo incerto più intimorita che mai al Ghat Harischchandra, enormi pire di legna accatastate ai margini della strada anticipano l’ingresso di questo luogo così sacro quanto blasfemo, così come i pianti disperati di alcune donne abbracciate tra loro sedute su degli scalini lontani dalle fiamme, loro non possono avvicinarsi né assistere, le loro lacrime ed i loro lamenti turberebbero le anime dei defunti e ne limiterebbero l’ascensione.

Sotto la supervisione degli intoccabili, la casta inferiore addetta ai lavori più umili, nonché gestori dei crematori, solitamente è il primogenito maschio a dare inizio alla celebrazione.  

Per l’occasione i suoi capelli vengono rasati, è per questo che ci sono tantissime botteghe di barbieri nei dintorni,  è lui ad avere il compito di appiccare il primo fuoco, nonché di rompere delicatamente il cranio con un bastone per far innalzare lo spirito in cielo nel caso, durante la cremazione, non si fosse spaccato da solo. Ed è sempre lui ad accompagnare in barca i corpi che non vanno bruciati nelle acque del Gange,  i corpi dei bambini perché sono innocenti, delle donne incinte per lo stesso motivo, dei sadhu perché non hanno peccati, dei morti per morso del cobra e dei lebbrosi perché entrambi sono manifestazioni di Shiva, non vengono bruciati, ma si lasciano andare nel Gange,  spinti in acqua con una pietra legata al collo o ai piedi per restare giù, nel fondo,  tra i misteri ed i pensieri più nascosti ed intimi del sacro fiume.

Sono dei riti solenni, antichi che mi trasmettono tanta serenità. I miei occhi non hanno più timore di guardare, la mia mente accetta, il mio cuore accoglie. Mi pervade un inaspettato senso di pace profonda, non ci sono tensioni, non c’è paura. Intorno a me ci sono molti corpi, tanto fumo, legna, residui bruciati di stoffe colorare sparse dappertutto, capre che mangiano i pezzetti di fiori delle corone rimaste a terra, mucche che annusano l’aria che sa di incenso e carne bruciata, cani randagi che vagano tra le ossa o ciò che resta di esse, è tutto in perfetto equilibrio, tutto molto naturale. Non c’è disagio, solo armonia.

Percorrendola capiamo subito che si tratta della strada che porta verso il ghat principale quello di Manikarnika, dopo solo pochi passi devo spesso accostarmi con la schiena al muro per far passare i cortei funebri, le barelle di legno contornate da fiori variopinti, diretti verso le rive del Gange, sono tantissimi, si insinuano nel traffico, i canti delle preghiere si confondono tra i clacson, i fumi degli incensi si disperdono tra quelli dei tubi di scappamento dei motori, le processioni proseguono dritte, prevaricanti a passo spedito, invadendo gli spazi, i marciapiedi, i pensieri razionali, verso il fiume, verso l’immortalità.

Al Ghat di Manikarnika  l’atmosfera è diversa, i riti e le procedure sono gli stessi, ma si respira un’aria più pesante.  I visi e gli sguardi degli intoccabili sono più ostili, sembrano non tollerare la presenza dei non locali, non si avverte solamente l’ormai familiare odore del fumo naturale dei corpi, si avvertono altre sostanze che sanno di oppio, disperazione, avversione.  Alcuni uomini sono immersi fino alla vita in un’acqua torbida, appiccicosa,  nera come la pece, setacciano con una rete in cerca di oro, proprio lì dove il fuoco si è appena spento trai frammenti di storie, ricordi, visi e capelli che ormai non ci sono più e magari di gioielli.

A guardare dritto verso il Gange qui c’è il Tempio di Shiva con la sua Fiamma Eterna, all’interno si sentono tutto il calore, le leggende e l’energia potente, disarmante, destabilizzante di questo luogo senza tempo che lascia letteralmente senza fiato, una mano rugosa mi dà la benedizione accarezzandomi la testa, lasciandomi in fronte un Bindi fatto di cenere, ora dovrei vedere, ora dovrei capire ciò che il mio terzo occhio vorrà mostrarmi.

Sono pronta, mi dico.  Ma pronta a che cosa?  Alla morte forse? La realtà è che qui a Varanasi si ha la netta percezione della Vita più che della Morte, o meglio la consapevolezza che semplicemente la morte stessa fa parte da sempre della nostra vita, dal giorno stesso in cui veniamo al mondo è parte di noi. Quindi essere Pronti ad Accettarla, Ringraziarla, Celebrarla, Innalzarla al di sopra dei pregiudizi, di ciò che non riusciamo a spiegare come unica certezza, percepirla e riconoscerla come una vera e propria Compagna di Vita.

Essere pronti a convivere con Essa, in Essa,  nella maniera più semplice e naturale possibile, integrarla nella nostra ordinarietà tra il negozietto di un barbiere, un ragazzino che gioca a fare i tuffi nell’acqua o una donna che lava i panni nella stessa cenere, sentirla, condividerla tra i canti, i balli le luci, le musiche i fuochi d’artificio, tra preghiere, risate, pianti, affari di famiglia e scene di vita ( e morte ) quotidiana.

Sono pronta a capire questo luogo, a vedere la celebrazione della vita con la morte e più che ad un funerale sembra di essere ad una festa. Una festa di addio, anzi di Unione, di Arrivederci.

Il giorno che temiamo come ultimo è soltanto il nostro compleanno per l’eternità.  – Seneca –

Lapponia, Magia pura come la neve

Immense e sperdute distese bianche, boschi incantati, candidi spazi sconfinati, silenzi spezzati solo dal cinguettìo degli uccelli, cieli stellati, pace interiore, il tutto ricoperto e circondato da soffice neve luccicante al sole… questo e molto di più è la Lapponia.

Il rumore dei nostri passi tra le neve scricchiolante, gli spostamenti alternativi per andare a fare colazione, o cena con uno slittino… le gite in mezzo ai boschi con gli husky che trainano le nostre slitte, le gite notturne sotto ad un cielo mozzafiato tra i boschi solitari trainati dalle renne… magia pura magia.

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Non dimenticherò mai tutte le passeggiate, immersi nel bianco, con i raggi del sole che riflettevano tra gli alberi e si rispecchiavano sul manto di neve, i silenzio pacifico e guaritore, l’aria pura e brillante… ricordo le nostre smorfie nel guardare sugli scaffali dei mini market del paesino Saariselka le confezioni di carne di renna o di orso, per poi scoprire che in realtà la prima, la carne di renna, è veramente buona! Ricordo i nostri sorrisi divertiti nel vedere i manifesti dei live dei tradizionali cantanti folk dai nomi impronunciabili e dal sorriso smagliante!

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E poi c’è Lei l’unica indiscussa regina e protagonista, signora aurora boreale! Siamo stati molto fortunati ed abbiamo avuto l’immenso piacevole di vederla ben due volte, si è concessa a noi in tutto il suo splendore smeraldo, l’abbiamo ammirata incantati comodamente sdraiati sul letto della nostra magica camera dal soffitto di vetro, dal grande igloo che avevamo sopra di noi.

Ricorderò le nostre partite a carte davanti al fuoco ed al tepore del camino, nel nostro cottage di legno accogliente e romantico, tra le stelle, i tramonti, gli alberi, la neve, il silenzio, l’aurora boreale e tutta la magia della splendida Lapponia.

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Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
(Pablo Neruda)

Bali, Misteri, Profumi, Sorrisi

Queste tre cose mi rimarranno per sempre impresse della magica Bali, l’alone di mistero che si diffonde silenzioso tra le pietre dei tempi, nella nebbia mattutina alle pendici dei vulcani, nascosto tra le lussureggianti e verdi colline e le sconfinate risaie smeraldo.

Il profumo di incenso che ti accompagna sempre, tutto il giorno, per la strada, tra la gente, in mezzo al traffico… in silenzio, in preghiera, nella confusione, il profumo dei fiori freschi è lì, c’è sempre e si mescola a quello dolce  del curry, delle cucine a quello aspro di benzina, a quello pungente dello scarico delle marmitte e dà sollievo, benessere, pace.

I sorrisi splendenti dei bambini che corrono scalzi tra le pozzanghere, i sorrisi rugosi degli anziani che con le ceste in testa si dirigono verso i loro piccoli altarini per la benedizione giornaliera, i sorrisi della gente che incroci per strada che non mancano mai, quei sorrisi che sono sempre dietro l’angolo ad augurarti una bella giornata.

E poi ci sono loro, indiscusse protagoniste del tempio Monkey Forest ad Ubud,le  innumerevoli scimmie che ti girano intorno, giocano e ti guardano curiose,  è stato un vero piacere rincontrarle anche al tempio di Uluwatu, a picco sulla montagna in mezzo all’oceano, un splendore, un panorama mozzafiato, come quello del tempio di Tanah Lot altrettanto affascinante tra le onde spumeggianti e le rocce eterne.

I templi…. Quanti ce ne sono a Bali di tempi…. Passegiando per Ubud puoi scoprirli ad ogni angolo di strada, ad ogni giardino privato, in ogni piccola via della città, sulle rotonde sparti traffico….

Ogni casa, negozietto, garage, officina meccanica, albergo, benzinaio ha il suo piccolo tempio addobbato di fiori freschi ed incensi profumati, ogni palazzo ne ha uno più grande, maestoso, pieno di statue, animali esotici, pappagalli, uccelli e colori e segreti… Al Tirta Empul temple non mancano cerimonie, non mancano i devoti inginocchiati che suonano musiche dolci, delicate, che intonano canti sussurrati appena pronunciati, decido anche io di effettuare il loro rituale di benedizione di buon auspicio e buona sorte e mi immergo tra le fonti, facendo scorrere l’acqua fresca sopra la nuca, mani congiunte occhi chiusi, un’emozione unica, mi sento purificata e felice.

Al palazzo reale di sera mi rilasso e mi godo le suggestive danze locali, i trucchi i costumi, i suoni e le melodie mi inebriano e mi incantano.

A pochi chilometri da Ubud, ci sono altri tempi lì ad aspettarmi ed io non mi faccio di certo attendere…. Il   Pura Ulun Danu Bratan  che si specchia nel suo stesso lago, il Pura Ulun Danu Batur con le sue statue di draghi e sirene e colori vivacissimi e poi ancora il Pura Besakih, con la sua scalinata che s’alza verso il cielo e sembra infinita come la processione dei fedeli che scendono sereni i gradini dopo le loro preziose celebrazioni.

Mi godo il tramonto alla spiaggia di Jimbaran, i chioschetti si preparano alla serata, allestendo i tavoli in riva al mare per la cena, il buon odore di pesce grigliato appena pescato si infrange nell’aria; mi accomodo con lo  sguardo rivolto al mare ramato, piedi nell’acqua  mi gusto il mio pasto ed il mio orizzonte disarmante.

L’ultimo giorno ad Ubud lo passo tra i mercatini tradizionali locali, tra maschere, facce, fumi, odori, tessuti, frutta, saponi….

Ultima tappa dell’indomani  la spiaggia di Lovina: l’uscita in barca all’alba per avvistare i delfini, la magia dello  yoga al tramonto, il tempio Buddista di  con i suoi monaci sorridenti e la sua energia positiva che mi ha riaccompagnata a casa per tutto il lungo viaggio di ritorno. 

Ma i veri viaggiatori partono  per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre: “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
(Charles Baudelaire)

Giappone, la Follia, l’Armonia, la Bellezza

Ed eccoci qua…dopo interminabili ore di volo finalmente arriviamo a Tokyo che subito ci travolge con i suoi colori vivaci e con i suoi frastuoni … girare per le vie affollatissime ascoltando vocine stridule dai megafoni sparsi dappertutto e vedendo godzilla e king kong minacciosi che spuntano dai grattacieli non ha prezzo. Rimaniamo subito piacevolmente sconvolti da tutta la follia che ci circonda… restaurant robot con tanto di luci laser e personaggi giganti, centinaia di slot machine musicali che urlano la loro sete di denaro … la metropolitana talmente piena di gente che sembra così surreale non urtarsi mai con qualcuno … e poi ancora tutti i localetti dove mangiare street food seduti su sgabelli microscopici attaccatissimi l’un l’altro,  il classico Marrabbio che intaglia un mega tonno commentando passo passo  al microfono con tanto d’urlo vittorioso finale! … l’odore di pesce fresco tra le bancarelle del mercato all’alba, la vecchietta che già prepara le sue zuppe di buon’ora e gli affezionatissimi clienti che  le gustano con calma. … bere sakè al karaoke indossando pantofole di pelle e cantando Celentano agitando un tamburello in mano … parlare con wc chiacchieroni e iper tecnologici….  Delirio, delirio allo stato puro, cosciente, ironica ed ordinata pazzia … e poi ecco … poco dopo aver attraversato l’incrocio di Shibuya tra migliaia di pedoni, sempre senza sbattere contro qualcuno e malgrado il traffico intenso senza avvertire il rumore fastidioso delle automobili … ecco che ti ritrovi catapultato in un paradiso roseo e profumato nel magico mondo del Sakura. Qui regna la pace, la natura. E’ bellissimo camminare tra i ciliegi in fiore, ti senti protetto, coccolato, ti senti al sicuro. Una forte sensazione di calma interiore e di delicatezza ti avvolge, ti inebria, ti fa sentire vivo e grato. Osservare intere famiglie riunite, sedute a terra con le loro coperte tra i petali, a sorridere, chiacchierare e mangiare insieme ci riempie il cuore di gioia e tenerezza e ci fa riflettere sul prezioso valore della vita, della nascita, della vecchiaia, della morte.

“come il fiore di ciliegio effimero e fragile nel pieno del suo splendore muore lasciando il ramo, così il samurai nel nome dei principi in cui crede, è pronto a lasciare la propria vita in battaglia. “

Dopo aver acquistato il tradizionale bento, ovvero il perfetto pasto giapponese da degustar viaggiando, rigorosamente di Hello Kitty , prendiamo l’ultra, super treno veloce che ci porta verso le montagne di Hakkone, ai piedi del monte Fuji. Qui l’aria si fa pura, i bamboo più frequenti ed i torii si nascondono misteriosamente tra i boschi… saliamo con la funivia, su fino al vulcano che getta nuvole zolfo, che si confondono con quelle del cielo … di sera ci aspettano un onsan bello caldo, anche troppo per la mia pelle europea! ed un fouton morbido morbido che avvolge i nostri sogni ad occhi aperti e non …

Il nostro seducente viaggio nel Sol Levante prosegue verso la storica Kyoto. Tra i suoi innumerevoli vecchi tempi,  in alcuni angoli di questa antica città il tempo sembra essersi fermato…

Qui cerimonie del thè e geishe la fanno da padrone ed anche noi ci siamo fatti trasportare ed attraversare da questa atmosfera. Una deliziosa signora dai materni occhi a mandorla  e dalle mani esperte ci ha illustrato il rito della vestizione e ci ha aiutato ad indossare i kimono che abbiamo portato in giro con rispetto e fierezza per tutta la città.

“al tempio c’è una poesia intitolata la Mancanza incisa nella pietra..ci sono tre parole ma il poeta le ha cancellate. Non si può leggere la Mancanza, soltanto avvertirla. “

Percorrendo poi con la nostra automobile a noleggio,  una strada alquanto insidiosa e funesta, arriviamo a Koyasan, il regno dei solenni templi buddisti e dell’enormi statue inquietanti dei guardiani dalla lingua e dagli occhi di fuori …qui ad accoglierci è un giovanissimo monaco dal viso rilassato, sorridente e sereno. È lui che di notte ci accompagnerà a visitare un cimitero e ci racconterà le leggende e le storie legate a questo mistico luogo, dalle ombre terribilmente affascinanti. All’alba abbiamo assistito alla cerimonia del fuoco, pregando e bruciando, purificandoli, i nostri desideri ed i nostri buoni auspici per un futuro migliore.

Al ritorno da questo paesetto magico tra montagne e pagode ci siamo fermati ad accarezzare gli splendidi cervi dagli occhioni languidi di Nara. Qui tra i ciliegi in fiore, i cerbiatti ed il buddha di bronzo più grande del mondo non è difficile sentirsi come Alice nel paese delle meraviglie, ma proprio come lei , prima o poi l’illusione svanisce e si torna alla dura verità… Infatti dopo le ultime ore tra incanto e realtà, tra il torii sospeso nell’acqua del lago di MIyajima , è arrivato l’ultimo giorno del viaggio e con esso la dura visita ad Hiroshima. Il silenzio diviene solenne, angosciante e colmo di riflessioni dinnanzi allo spettro del donebomber e del fatiscente palazzo rimasto in piedi, seppur quasi interamente distrutto, per non farci dimenticare.

Con immensa gratitudine ci inchiniamo a questo popolo che ci ha ospitato con umiltà, eleganza ed onore… porteremo sempre nel nostro cuore il vecchietto elegantissimo nella metro, con il foulard di Valentino appassionato di moda e vino italiano con lo sguardo più elegante, dolce e commovente del mondo… la signora alla cassa del supermercato che ha iniziato ad urlare di gioia perché a detta sua avevamo vinto un premio acquistando un semplice prodotto, non ricordo neanche quale, e ci ha riempito il sacchetto della spesa di merendine, succhi di frutta, yogurt ed altri vari prodotti del suo negozietto … il controllore del treno che poco prima di girarci le spalle e chiudersi dietro la porta faceva l’inchino per salutare … porteremo sempre con noi i panorami mozzafiato,  le loro buone maniere,  le loro abitudini strampalate,  il loro buon cibo così leggero e salutare, i loro timidi sorrisi….

Dicono che il Giappone è nato da una spada. Dicono che gli antichi dei hanno immerso una lama di corallo nell’oceano e che, al momento di estrarla, quattro gocce perfette siano cadute nel mare e che quelle gocce sono diventate le isole del Giappone. Io dico, che il Giappone è stato creato da una manciata di uomini coraggiosi, guerrieri disposti a dare la vita per quella che sembra ormai una parola dimenticata: onore.
(dal film L’ultimo Samurai)

Thailandia, tra mercanti e pirati

“Arriviamo a Bangkok di sera, sfiniti dalle tante ore di volo, ma non resistiamo e decidiamo comunque di uscire e passeggiare un po’ tra le viette del centro storico… colori e profumi, decine di bancarelle con pentoloni fumanti strapieni di pesce, di salse, di nuddols … e poi ancora spiedini di carne e di frutta .. e di scorpioni, vermi e cavallette! No questi ultimi non li abbiamo assaggiati, non ci siamo riusciti.

Andiamo a dormire con il buon odore di curry ed incenso ancora tra i capelli.

L’indomani sveglia all’alba, prima tappa città di Samut Songkhram, il mercato galleggiante di Damnoen Saduak. È mattino presto e molte delle bancarelle devono ancora aprire, ci gustiamo il silenzio e la calma del momento, i primi timidi sorrisi dei venditori, i loro sbadigli, le prime serrande che iniziano ad alzarsi, le prime barchette colme di oggetti, spezie, pesce che iniziano a dondolare nell’acqua.

Dopo meno di un’ora l’atmosfera inizia a cambiare, il mercato si riempie di gente, di urla, richiami, odori ed il fiume si trasforma in una strada trafficata a doppio, triplo senso, in un via vaI di barche colorate.

Ci spostiamo poi all’altro mercato poco distante, il Maeklong Railway, sulla ferrovia. Inizialmente non credevamo possibile che il treno passasse proprio in mezzo ai banchetti dei venditori ambulanti, ma quando abbiamo sentito il fischio assordante del gigante che arrivava, i carretti spostarsi, le tende abbassarsi, i bottegai spostare secchi e ceste pieni di merce, ci siamo dovuti ricredere.

A bocca aperta abbiamo visto il treno passare lì, in mezzo a tutti noi ad un paio di centimetri da noi! … e subito dopo, in pochi secondi, tutto sistemato, tutto di nuovo come prima…i cesti di frutta, i carrelli di carne, i secchi di pesce, erano di nuovo lì, al loro posto tra i binari, di nuovo tra la folla.

Ed eccoci, scendiamo da uno smelangolato tuc tuc con  la musica a tutto volume, per ritrovarci tra mosaici variopinti, campane giganti, buddha dorati, distesi, imponenti del palazzo reale, tra i canti e le preghiere dei monaci, tra le statue, le pagode e le rovine dei tempi di Ayutthaya, in groppa ad un elefante.

Una passeggiata tra le viette di Cina Town, dove si respira un’aria di vecchie usanze, di leggende, un labirinto magico di cibi, cucine, botteghe, stoffe, piume e negozietti colmi di gioielli d’oro appesi su tutte l e pareti.

Dalla più tradizionale e folcloristica Bangkok ci ritroviamo poi catapultati nella sua più moderna realtà, dal 62° piano del palazzo di Le Bua-Sirocco possiamo ammirare tutte le luci della città e scoprire che questa è anche una splendida metropoli in piena crescita, ricca di storia e tradizioni e prontissima al futuro, a stare a passo con i tempi.

Dopo quattro giorni, prendiamo un autobus notturno che in 12 ore circa ci porta dall’altra parte più a sud della Thailandia, a Krabi.

Percorriamo 800 km tra traffico e strade allagate dalla pioggia e tra una dormitina ed una sbirciata curiosa ai meravigliosi paesaggi dal finestrino, finalmente all’alba arriviamo a destinazione.

Lo scenario è ovviamente tutt’altra cosa, a farne da padrone ora non sono più templi e grattacieli, ma solenni e maestose montagne circondate da acqua cristallina e misteriose foreste che ci faranno da sfondo per i prossimi giorni.

Grazie ai passaggi dei barcaioli dai visi segnati dal sole e gli sguardi sempre sognanti immersi tra cielo e mare, raggiungiamo tutte le varie isole della zona: Ao Nang, Railay West, Phi Phi… ci sentiamo come pirati maledetti che vìolano le più belle lagune e spiagge del mondo ricche di tesori nascosti…. Maya Bay, Bamboo, Loh Dalm posti incantanti dove il tempo sembra essersi fermato, dove le sfumature dell’acqua variano tra l’azzurro del cielo e si confondono con il verde smeraldo delle giungle tutt’intorno.

Ci sentiamo impavidi esploratori passando con le nostre piccole barchette tra le rocce eterne, tra le onde che sbattono forte ai piedi delle montagne giganti, ritorniamo bambini a giocare con le mille scimmiette che corrono tra la sabbia di velluto, tra i coralli e le conchiglie.

Tutto intorno è pace, è natura, è mistero, è mare, è oceano senza confini.

Risuona ancora lontano l’eco di un mostruoso tsunami, i cartelli e le insegne per l’evacuazione, gli avvisi per le zone più a rischio…una terra colpita e ferita dalla sua stessa forza e bellezza, che è riuscita a rialzarsi e ricominciare più forte e più bella di prima.

L’ultimo giorno decidiamo di farci un tatuaggio, ricordo indelebile di questo emozionante viaggio e di questa fantastica terra.

Grazie Thailandia per il tuo coraggio, per i bei sorrisi e le parole gentili… grazie per il tuo cibo, le tue spezie i tuoi piatti tipici a base di curry e pesce fresco… per le mani esperte delle vecchie signore massaggiatrici, per quelle scure e rugose dei barcaioli, preziosi traghettatori… grazie per la tua unica ospitalità… grazie per il tuo mare tanto inquietante quanto affascinante.

Kop khun khrap! “

Usa, sulla strada

… “Qual è la cosa che mi è piaciuta di più di questo viaggio? Istintivamente dico, la strada! O meglio le strade percorse…. Le sconfinate, infinite strade che si disperdono tra le montagne innevate e dune sabbiose del Colorado, per poi proseguire tra i deserti cespugliosi e macchiati dai cactus del New Messico, fino ad arrivare indietro nel tempo, tra i cow-boy della piccola Santa Fe … i magnifici percorsi tra i deserti arancioni  della magica Monument Valley e quelli più rossi dell’Arizzona,  proseguendo verso il fottutissimo Grand Canyon… le strade, quelle appena più fresche costeggiate da pini e frequentate dai  cervi dello Utha, in direzione  del pittoresco Bryce Canyon e tra  le maestose, gigantesche  montagne color mattone dello Zion… e poi di notte, eccola,  l’improvvisa luccicante  sky line di Las Vegas, con tutte le sue accecanti luci, che sembrano un miliardo di piccole stelle colorate che all’improvviso ti compaiono davanti… pensare che qui in Nevada tutto sia possibile, giocare alla roulette per tutta una notte e sposarsi alla Gracechapel con Elvis Presley come pastore e noi mascherati da Marilyn Monroe e Superman  … e poi  ancora le strade …  le curve nascoste tra le rocce dure e scure della Death Valley, le montagne sfumate di giallo di  grigio e di  bordò, la polvere che si alza silenziosa mossa da un vento rovente che sembra  portare via tutto quello che potrebbe esserci  rimasto ancora di “vivo”, sospesi tra realtà estrema e l’inferno. Rassicurarsi poi vedendo un cojote rannicchiato sul lato della strada guardare indifferente le automobili sfrecciargli davanti  … passare dai 110 f. ai 50 f. in poche ore di strada e ritrovarsi immersi tra laghi azzurri le  sequoie giganti ed i  ruscelli gelati visitati dagli orsi dei parchi dello Yosemite …. Arrivare  a San Francisco dopo 15 giorni con il cuore in gola, coscienti che questo viaggio favoloso sta per finire … passeggiare  instancabili tra le salite e discese delle particolarissime strade della città, affittare la bicicletta e pedalare, pedalare per 20 miglia per le strade, percorrere  il Golden gate bridge e ritrovarsi tra prati verdi e morbide colline fiorite  … visitare Alcatraz e sentirne tutta l’inquietudine di violenze e peccati nascosti, insieme alla serenità di panorami dorati avvolti dal tramonto e dal canto dei gabbiani. Lasciare la California felici e malinconici, con l’ultimo sguardo perso verso le ripide vie di  San Francisco e dei suoi tanti barboni, loro  i padroni indiscussi delle rigide strade della città. “ ….