L’India è intensa.

L’India  è intensa. Surreale. Contraddittoria.

Cruda, spietata, esigente a tratti lucente, a tratti oscura.

Una linea sottile che divide il bene dal male, la realtà del sogno, il voler fuggire il più lontano possibile dall’attrazione nel voler rimanere.

Mette letteralmente a nudo  persone e sentimenti, i desideri e le paure più inconsce, primordiali.

Un costante velo di nebbia e magia ricopre i ghat e le menti,  offusca, confonde.

Vagando tra le luci delle candele e le stelle, i fumi dei crematori, i canti dei pellegrini, le risate chiassose dei ragazzini che fanno tuffi sul Gange, le musiche dei mantra su basi tecno per il Dev Deepawali, la puzza acre di piscio ed il profumo inebriante degli incensi sembra di essere nel mezzo di uno strano sogno.

Si entra in un portale, dove si raggiunge un mondo folle, sconosciuto ai confini della realtà, dall’alba al tramonto preghiere, rituali, cerimonie, folle immerse  nelle acque sacre, fiori, panni ad asciugare, preparativi di ogni tipo.

C’è chi dorme, chi si inginocchia, chi prega. donne che si pettinano i lunghi capelli bagnati, bambini che piangono e giocano sulle rive tra la terra e la cenere,  uomini dagli sguardi fieri, pensierosi, nostalgici, mendicanti, bramini, devoti, disperati.

Nei vicoli labirintici cani randagi, vacche che occupano il passaggio in mezzo alle vie già  strette, scimmie che saltano tra i cavi elettrici, sputi, immondizia, altarini dismessi, ad ogni angolo  templi nascosti disarmanti e belli da far mancare il fiato proprio come gli odori forti, che sanno di escrementi, morte, speranza, palo santo, dura realtà.  E poi ci siamo noi, anime smarrite tra i suoni di flauti e tamburi, cortei funebri e matrimoni che piangiamo e ridiamo insieme, che vogliamo fuggire e rimanere, urlare e meditare. Varanasi è tutto questo e molto di più.  Come in un sogno  confuso è difficile trovarne un senso, è difficile uscirne, dimenticarsene o ricordarlo bene.

L’India è intensa. Surreale. Contraddittoria.

Un universo parallelo dove il tempo e lo spazio sembrano sparire

sembrano perdersi tra le rive del Gange insieme ai pensieri, agli attaccamenti materiali e alla ragione.

Sicuramente anche un pezzo del mio cuore si sarà perso in queste acque sporche ma sacre, o tra le strade luride ma profumate, tra le asharam e gli altari, forse è stato preso da un gabbiano e lanciato sull’altra sponda, o riportato a riva da un’onda insieme ai resti dell’ultima Puja, o magari il pezzo del mio cuore è stato trascinato a largo da una barca insieme al corpo di un’anima pura che non è stata bruciata. Ovunque esso sia sicuramente rimarrà qui a vagare insieme a tutto il resto tra le assurdità, le bellezze, i colori, i palazzi fatiscenti, le persone gentili, le speranze,  le ombre di Varanasi.

Ma se non ci fossero le tenebre non ci sarebbe neanche la luce.

Un ringraziamento speciale va a Varanasi per avermi fatto vivere senza filtri tutte le mie emozioni anche quelle nascoste più a fondo, quelle che fanno più paura, Grazie per avermele fatte attraversare, affrontare dandomi l’opportunità di guardarle dritte in faccia, di guardarmi negli occhi, allo specchio e riscoprire me stessa e tutti i lati della mia anima, limpidi e torbidi, riflessi nelle acque stesse di Mama Ganga.

Ho riso, ho pianto. Mi sono arrabbiata, commossa, disperata, illuminata. Ho avuto paura, sono stata coraggiosa. Ho provato pena, odio, compassione, disprezzo, amore.

Mi sono persa e ritrovata, odiata e perdonata.

Catapultata nello smog di Delhi, intrappolata nel traffico, tra vicoli troppo stretti ed affollati mi sono poi ritrovata sospesa, come in un limbo, tra gli incensi ed i rituali nei ghat sulle sponde del Gange di Varanasi.

Ho respirato la polvere e la povertà delle strade sterrate di Mathura, camminando incerta tra  vacche e pellegrini striscianti.

Ho ballato e cantato nei templi di Vrindavan, sono stata trasportata dalla musica, dalle preghiere  e da sudici treni notturni.

Sono stata accolta da sorrisi gentili e devastata da scomode realtà. Disarmata e Grata saluto, disprezzo ed onoro questo luogo tanto dimenticato quanto vicino ad ogni posdibile Dio. Saluto, accolgo, rinnego, ed abbraccio l’India e tutte le indescrivibili emozioni nascoste in essa, racchiuse in me.

Vi sono cento porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne. – Ferdinand de Lanoye –